venerdì 1 gennaio 2010

Narrative-Based-Medicine: nuovo approccio olistico o antica arte medica?

Nasce un sito web specifico per esplorare le potenzialità della NBM in un centro di neuro-riabilitazione.
Il vorticoso progresso degli ultimi decenni nel campo della conoscenza scientifica e della tecnologia, ha segnato in modo profondo il senso dell’essere medici e dell’essere pazienti, arrivando ad trascurare e oscurare l’importanza del dialogo tra medico e paziente. Nel tentativo di superare l’approccio riduzionistico della medicina, che tende a focalizzare frammenti dell’essere umano nelle tradizionali categorie diagnostiche, non cogliendo l’unicità e irripetibilità di ogni essere umano, è nata l’esigenza di affrontare oltre l’aspetto biologico (disease) della malattia anche il vissuto (illness) da parte del paziente. A metà degli anni Novanta la dottoressa R. Charon ha fondato in America la cosiddetta Medicina Narrativa (Narrative Based Medicine), presso la Facoltà di Medicina della Columbia University di New York a partire dalle ricerche di antropologia medica della Harvard Medical School che interpretavano “i modelli medici come sistemi culturali”, riconoscendo con ciò che anche la cura è un oggetto culturale “socialmente costruito attraverso specifici linguaggi”. In tale ottica la medicina narrativa si riallaccia agli approcci olistici (dal greco òlos: tutto, intero) caratteristici delle medicine non convenzionali, secondo i quali l’organismo deve essere studiato nella sua totalità e unicità psicosomatica e non in quanto semplice somma di parti. Scopo della Medicina Narrativa è in sostanza quello di umanizzare la medicina, migliorando la comprensione della comunicazione fra medico e paziente, fornendo al medico un valido strumento nella gestione di difficoltà di rapporto (legate a deresponsabilizzazione, scarsa compliance, equivoci comunicativi), oltre che dare un significato più completo al suo operato, e fornendo ai pazienti uno strumento per divenire partecipi e corresponsabili della loro salute. La Narrative Based Medicine prevede una ricerca qualitativa, sui vissuti del paziente e sulla modulazione delle relazioni che egli vive nell’ambiente di cura in contrapposizione con la Evidence Based Medicine. L’utilizzo della narrazione e dell’ascolto può aiutare a superare la discrepanza che inevitabilmente si sperimenta nel momento in cui si cercano di applicare i risultati delle ricerche all’incontro clinico: la medicina narrativa quindi non si oppone alla EBM, ma ne rappresenta un’indispensabile integrazione. Sono diversi i campi di applicazione in cui sperimentare la Medicina Narrativa:
  • nel colloquio diagnostico (le storie narrate costituiscono la modalità entro cui i pazienti sperimentano e descrivono il proprio malessere, facilitando l’empatia tra medico e paziente e fornendo utili indizi alla classificazione diagnostica),
  • nel processo terapeutico (le narrazioni incoraggiano un approccio globale al trattamento, sono in se stesse terapeutiche o palliative e suggeriscono ulteriori opzioni terapeutiche),
  • nell’educazione del paziente e nella formazione dei professionisti della cura (le narrazioni vengono ricordate molto più facilmente, sono radicate nell’esperienza e potenziano la riflessione),
  • nella ricerca (le narrazioni facilitano la costruzione di interventi centrati sul paziente, sfidano i presupposti di base generando nuove ipotesi),
  • nell’EBM (le narrazioni aiutano a trasferire le "evidenze" sul singolo paziente).
Nel corso del 2009 presso il nostro ospedale è stato avviato, un laboratorio di scrittura a cura della Dr.ssa Francesca Vannini, nell’ambito di attività di gruppo di MusicArTerapia. Tale attività ha portato alla raccolta inaspettata di materiale narrativo e grafico interessante ed originale. Sono affiorate storie di malattia attraverso scritture autobiografiche “terapeutiche” che gli stessi autori hanno incoraggiato a diffondere e donare ad altre persone colpite da malattie neurologiche e agli operatori sanitari, affinché l’esperienza vissuta consenta non solo di conoscere di più se stessi ma diventi anche adeguato strumento di integrazione.
È stata quindi conseguenza inevitabile organizzare un sito web che rendesse tale laboratorio disponibile e utilizzabile non solo dai pazienti dopo la dimissione, ma anche da altre figure sia in ambito familiare che sanitario. I criteri utilizzati per consentire una maggiore accessibilità, in considerazione di eventuali deficit motori e plurisensoriali dei fruitori del sito, sono stati mutuati dai documenti delle normative ISO e dalle linee guida della Comunità Europea, per ottenere leggibilità e reperibilità e quindi immediatezza.
“Malattia e guarigione sono, in parte, trame narrative. I pazienti scrivono sulle proprie malattie con sempre maggiore frequenza, il che suggerisce che la ricerca di parole per contenere l’angoscia permette di affrontare meglio la malattia. Anche i medici scrivono sempre più spesso su loro stessi e sulle loro esperienze. In molte forme di scrittura narrativa, i medici sostengono l'ipotesi che scrivere di se stessi e dei propri pazienti permetta di creare un grado di comunicabilità, non altrimenti possibile.” (Rita Charon)

M. Rosaria Stabile


Bibliografia
  • Lucia Zannini - Medical humanities e medicina narrativa - Raffaello Cortina Editore - 2008
  • Giorgio Bert – Medicina Narrativa – Il pensiero Scientifico - 2007.

La mia voce

La mia voce di Gianfranco Scilipoti
Oggi il mare oltre gli Alberoni è squassato da un vento impetuoso, è vento di Libeccio, assai inusuale da queste parti: il rumore della risacca, ritmico e prepotente insieme, mi giunge attutito da alte dune di sabbia. Sembrerebbe che questa breve introduzione si attagli di più ad una spiaggia tropicale che non alla Serenissima Venezia.
Cammino tranquillo su un tappeto verde smagliante: penso per quale strano destino io sia giunto in questo luogo che si presenta così lindo e pulito... Mai avrei pensato che la regale Venezia nascondesse tra le pieghe del suo mantello una gemma preziosa, a pochi conosciuta. Ed è veramente un dono della Provvidenza questo centro di ricerca e di riabilitazione motoria.
Io ci sono approdato dopo una storia di malanni vari, tra cui una nefrectomia ed un Parkinson ormai quasi trentennale, quest’ultimo accompagnato da un accentuato abbassamento della voce.
Qui arrivano da tutta Italia le persone che hanno subito un ictus oppure un incidente stradale, arrivano qui con la disperazione nel cuore: una persona non può non essere disperata di fronte ai propri cari, immobilizzati su una sedia a rotelle, che non possono nemmeno accennare un batter di ciglia e che per esprimersi muovono con il mento una sfera. Ma giunti qui trovano un gruppo di persone che oltre all’esperienza ci mettono il cuore nel curare gli ammalati. Persone che la mattina si alzano per recarsi ad un appuntamento con un mondo di sofferenza, dove basta un cenno, un sorriso per ridare speranza.
La mia personale esperienza con questo Centro risale ad ormai una dozzina d’anni. Sono un paziente un po’ particolare, se pensate che da più di trenta anni soffro di Parkinson, una malattia infida, ma non più di tante altre. Una malattia degenerativa, che provoca dei disturbi anche molto gravi e può portare all’immobilità assoluta.
Quasi dieci anni fa fui operato in Francia a Grenoble dall’equipe Pollak—Benhabid. Con una operazione durata più di dodici ore, mi restituirono alla vita, poiché recuperai quasi tutte le mie facoltà, facendo di me un uomo nuovo. Ma non riuscirono a recuperare la voce: dovetti dedicarmi allo studio ed alla pratica della logopedia. Parola difficile che deriva dal greco e vuol dire “materia che studia i metodi di apprendimento del linguaggio”.
Ormai da quasi cento anni in questo Centro si è sviluppata un’arte che non è da meno di quella dei Mastri vetrai, delle trine o dei merletti, ormai famosi in tutto il mondo. Quell’arte che ha del magico nel riuscire a far pronunciare a delle labbra che rifiutano di aprirsi una prima timida “a”, quell’arte capace di scavare nel profondo del cervello di un corpo immobile fino a trarne il primo incerto movimento di una mano.
Ho detto magico, ma niente è più lontano dagli istrioneschi ciarlatani di un tempo. Qui tutto è frutto di infinita pazienza, di grande conoscenza del corpo umano che il personale tutto possiede.
Ed infine la tecnologia, che qui è la più moderna; non per niente esiste una Fondazione che lavora per far si che la conoscenza raggiunga livelli sempre più elevati.
A tutto questo riflettevo mentre, lasciata la spiaggia battuta dal vento rientravo nella mia stanza. Tra poco sarei andato ad aiutare gli infermieri a sistemare le sedie a rotelle sull’ampia balaustra.
Mi ricordavo di avere fatto lo stesso a Lourdes e poi ancora in Belgio dove esiste un centro come questo. In questi luoghi, dove il dolore domina sull’ uomo, il canto che sale al Cielo è sempre un Alleluia corale cantato in tutte le lingue, un canto che trasforma il dolore in speranza.
Gianfranco Scilipoti

Essere capaci

Essere capaci di Alessandro Bergonzoni
Si pensa sempre al saper fare (saper fare il medico, il giudice, il politico, il padre, il giornalista). Mai a quanto si può contenere. Un serbatoio, una vasca hanno una capacità. E l’essere? Se con capacità si cercasse di intuire quante grandezze puoi contenere? Quanto impossibile quanto sconosciuto quanto mistero quanto sovrumano quanta trascendenza? Un essere non può contenere solo norme, potrebbe cominciare ad avere in sé “l’enorme”, ad allargare uno spazio che non riguarda solo i fatti, il reale, la cronaca, le leggi, i bisogni. Perché davanti a drammi apparentemente altrui si deve tacere quest’oltre? E se insieme ai diritti del malato esistessero i doveri del “sano”, di chi ha paura di accettare “esistenze diverse”, “vuoti pieni di differenza”, altre comunicabilità, “corpi non previsti”, “stati altri”? Siamo corti. Conteniamo volumi (sapere di scienza) ma non volume (conoscere ben altro). Se avessimo il dovere di entrarci dentro per sentire che la nostra idea di vita, di bellezza (fotto di chi sorride, lavora, ha successo), di salute, di famiglia, di realizzazione, di economia, non può essere unicamente dettata da una dignità che non riesce a definire solo la Costituzione, la ricerca o un’unica fede?
(Alessandro Bergonzoni)
Obiettivi: riabilitazione motoria riabilitazione delle funzioni cognitive riabilitazione dei disturbi del linguaggio riabilitazione psicologica
FONDAMENTALE. Ma può bastare?
Il malato entra in ospedale per la riabilitazione. Il giorno prima di stare male era un “uomo sano, normale” e da tutti veniva riconosciuto così, soprattutto da se stesso. Il giorno dopo, tutto diventa nero. Non parla e non si muove, ammutolito dalla diagnosi, dal trauma…
Inizia un nuovo percorso ma si trova di fronte ad un bivio. Una strada lo porta a sentirsi e ad essere trattato da malato. L’altra strada lo porta a ricominciare, nella malattia, un nuovo percorso come uomo.
Nella prima strada incontra medici e operatori che curano pezzo per pezzo gli esiti della sua malattia, che si occupano delle sue gambe che non si muovono, della sua parola che non esce più come prima, dei suoi problemi con i numeri, del suo ragionamento e della sua consapevolezza. Osservazione, valutazione, trattamento.
Nella seconda strada incontra medici e operatori che si prendono cura di lui. Incontra persone che non hanno paura della sua diversità e lo accolgono prima di tutto come persona tra persone. Incontra medici e operatori che riconoscendo il valore della propria vita, riconoscono il valore della sua e glielo sanno comunicare. Si trova ad avere a che fare con operatori ognuno dei quali ha il suo ruolo specifico (chi si occupa delle gambe, chi delle braccia, chi del cervello, chi della parola), ma tutti sinergicamente lo considerano INTERO unico e irripetibile. Riconoscono in lui sentimenti e ri-sentimenti, rispettano il mistero della sua vita e del suo attuale dolore. Hanno come obiettivo la riabilitazione funzionale specifica, ma soprattutto fanno squadra tra di loro e con lui perché credono che in qualsiasi situazione si possa ricominciare. Insomma si trova di fronte ad una strada in cui l’obiettivo è la consapevolezza che in ogni stato di sofferenza c’è chi non smettere di credere e di cercare creativamente il modo di ricominciare.
Quale strada scegliereste se capitasse a voi?
Francesca Vannini