mercoledì 23 novembre 2011

Tra la antiche valli


C'è, nell'Alta Maremma, un paesino che si chiama R. di F., un borgo incantevole, situato com'è tra dirupi e valli scoscese. Là vive o meglio viveva In the Forest, chiamato così perché amava tanto i boschi, da passare più tempo con essi, che con gli umani. Era un filosofo, In the Forest, si vedeva che aveva studiato. Quando veniva da me per lamentarsi del tempo, troppo caldo o troppo freddo, perché gli alberi pativano, lo pregavo di fermarsi un attimo.

Sbrigavo le altre persone, mi mettevo ad ascoltare. Faceva ridere In the Forest, aveva un umorismo cinico ma velato di melanconia, che faceva tenerezza. Portava un cappelluccio che doveva nascondere un parrucchino ma, anzi, lo evidenziava ancora di più. Lo portava estate e inverno. Quando la calura si faceva insopportabile, o quando il freddo dell'inverno faceva sentire i suoi morsi crudeli, lui non faceva una piega, ma mi parlava dei suoi alberi. Era un personaggio, In the Forest.

Quando era tempo di more, mi portava le more, chili e chili di more, quando era tempo di fichi, cestini di fichi. Era generoso In the Forest. Lo vidi adombrarsi quando mi portò un cesto di funghi. I miei nonni erano finiti in ospedale, per via di certi funghi cucinati e poi mangiati. Lo spiegai, con belle parole, per non ferirlo, ma lo sentii borbottare, mentre andava via che giù, nella bassa Italia, si potevano sbagliare ma lui, che li coglieva dall'età sei anni, non si era mai sbagliato. Lo avevo richiamato e avevo accettato i suoi splendidi porcini.

Di norma passava di sabato in farmacia e, quando arrivava mia madre, lui spiegava la sua filosofia di vita: che i boschi e la natura erano quanto di più bello Dio avesse creato.

Quando c'era lui, se arrivavano i suoi amici, Guido, Fosco e Luciano, non si parlava mai di caccia, si parlava del più e del meno. Appena poteva se ne andava, salutava e partiva ...

Chiesi agli amici spiegazioni ma quelli nicchiarono. Si fecero più muti di una banda di ottentotti a cui avessero mozzato la lingua. Dopo qualche tempo, venne fuori tutta la faccenda.

Il padre di In the Forest, durante una battuta di caccia al cinghiale, aveva ucciso per errore, un suo parente ed amico, con cui aveva trascorso l'infanzia, erano stati compagni di bevute, erano inseparabili a caccia C'era stata anche un’ inchiesta, subito archiviata. Ma il padre aveva dovuto sborsare una grossa cifra per risarcire la famiglia dell'amico morto.

Alla fin fine, non si era trattato di un cinghiale morto, si era trattato di un cristiano. Come ebbe a dire Guido.

Al padre di In the Forest, costò una cifra non indifferente, si era trattato di vendere un podere, alcuni boschi e una casa in paese, oltre al rimpianto per l'amico morto e il rimorso di coscienza. Si fece forastico, non volle vedere più nessuno.

Il figlio, di conseguenza, divenne come il padre.

Non si era sposato In the Forest, viveva da solo. Quando si parlava del perché non si era mai sposato, arrossiva e prendeva un'aria nostalgica. Il caso o il fato, diceva, o perché non aveva mai trovato qualcuna che amasse tanto gli alberi come lui.

Dopo quella tragedia, perché di una tragedia s'era trattato, gli era rimasto, alla morte del padre, una valle incontaminata, piena di boschi. Castagni, larici, faggi, tutti alberi di prezioso legname.

Ma In the Forest, non avrebbe mai tagliato un albero. Aveva sofferto come un cane, quando aveva dovuto abbattere un intero filare di alberi, perché avevano preso una malattia di cui non ricordo il nome.

Sono così gli uomini dell’ Alta Maremma.



Così come Guido che, trasportato in Sicilia, alla punta estrema dell'isola, davanti a quel mare piatto, ebbe un groppo in gola, rammentando come erano belli suoi boschi. A nulla valsero le parole di quanti erano vicino a lui. Solo mare, solo mare, c'è solo mare. Inutile dirgli che i boschi li avrebbe trovati a circa un'ora di macchina. In the Forest invece non si era mai mosso, era vissuto sempre nel suo paesino. Ogni tanto andava a G., ma secondo lui c'era tanta confusione di macchine e di gente.

Ora mi dicono che se lo è portato via un infarto durante la notte, ma non voglio credere che sia morto, che non mi parlerà mai più dei suoi boschi, dei suoi castagni, dei suoi amatissimi pioppi, dei suoi faggi, che amava come tanti figliuoli. Il suo volto si illuminava quando mi diceva che sembravano tanti giganti pronti a proteggerlo in caso di bisogno. Anche se non c'era mai stata la necessità, anzi mi diceva che si sentiva come cullato nel ventre dei suoi boschi. Mi rimane nell'aria, il suo ultimo saluto: "Ci si vede". 


Andromeda

Tom e il vecchio

Tom e il vecchio


Tom si guardava le mani, erano mani belle, agili e nervose, ma il lavoro nei campi della Luisiana vi aveva già impresso linee dure e nette. Si ricordava il suo arrivo a Napoli, gli scugnizzi, il frastuono, il vino bevuto in una trattoria e poi l’andare a letto con una donna, una donna qualsiasi. Aveva poi conosciuto Lisa, una ragazza friulana: quelle sue mani, nere come
il carbone, sapevano scuotere sin nel profondo delle viscere la giovane donna. Tom di quella ragazza diciottenne si era innamorato a prima vista, da quando l’aveva incontrata nella camera d’affitto, vicino alla Base Aerea.

Troppo vicina, pensò Tom. Accese una sigaretta: la divisa blu di sergente dell’Air Force giaceva a sghimbescio sulla sedia. Le sue mani nere,il suo corpo nero piacevano a Lisa, avevano il profumo selvatico del bosco, gli aveva mormorato un giorno nell’orecchio. Il suo odore di nero! Tom lo sapeva... Infatti il vecchio non ci stava. Tom lo aveva incontrato scendendo dalla macchina, il giorno in cui era venuto a portare la sua roba.

Il vecchio usciva da una stalla, aveva un paio di stivali sporchi ed un buffo cappello, con una strana penna su un lato. Tom aveva sentito subito l’odore inconfondibile del letame, era l’odore di suo padre. Suo padre! Uno degli ultimi laggiù a tenere ancora vacche nella stalla, ma presto sarebbe scomparso, come tutto quel mondo che lui odiava, i bianchi, i neri, l’apartheid. Ed ora quel vecchio italiano, che puzzava di letame, non aveva potuto fare a meno di storcere il naso quando gli aveva stretto la mano... Il suo odore di nero!

Il vecchio aveva mormorato una bestemmia , era stato più forte di lui, sua figlia lo aveva avvertito, l’odore di pelle di nero era inconfondibile, ma i dollari non puzzavano e loro avevano bisogno di soldi. Eppure quel nero gli era simpatico, lui se ne fregava della razza, aveva visto cose ben più terribili nel gelo della Russia; lo sentiva dentro, forse erano gli occhi del nero, erano sinceri, forse erano i calli sulle mani nere, erano eguali ai suoi, parlavano la voce dei campi.


Era scesa la sera, un sole d’oro tramontava oltre i boschi del Cansiglio. Il vecchio riposava fuori della stalla, guardava Tom, il volto nero ormai confuso con le ombre della sera. Tom appoggiato allo stipite della porta della sua camera, fumava una sigaretta; il disco rosso del sole scomparve oltre la linea dei monti. La nostalgia gli serrò la gola, si ricordò della piccola fisarmonica, frugò fra la sua roba, la trovò, la portò alla bocca, trasse un respiro profondo e le note struggenti dei canti neri di suo padre, di suo nonno, appena accennate, salirono leggere oltre il fumo della sigaretta, si avvolsero nell’aria fresca del cortile, giunsero al vecchio.


Tom scorse il vecchio alzarsi, sparire per un attimo nella stalla, ritornare con un fodero consunto dall’uso. I tasti bianchi di una fisarmonica luccicarono nell’ombra, le dita del vecchio scorsero agili e lievi, sulla tastiera, descrissero serene le note di una Villotta friulana Insieme le note salirono verso l’alto, non nere non bianche, ma del colore del cielo.


Gianfranco Scilipoti

venerdì 28 ottobre 2011

Incontro tra narrazioni ed evidenze per una sanità da trasformare


Intervento di Francesca Vannini, MusicArteterapeuta, sull'esperienza del sito web "stanze narrative" con i pazienti dell'Ospedale San Camillo al convegno della Fondazione ISTUD "Incontro tra narrazioni ed evidenze per una sanità da trasformare", Milano il 28 ottobre 2011.

domenica 16 ottobre 2011

La vita è fatta così

Sì, sono proprio queste le parole a cui spesso tutti noi non sappiamo dare significato, soprattutto quando ci troviamo davanti ad un paziente...

Loro ci confidano molte cose... e spesso ci parlano della loro malattia spiegandoci i lati positivi e negativi di essa. I racconti ci lasciano senza parole e non sappiamo dare una risposta...

Cominci a pensare... pensa e ripensa... ma non trovi la soluzione e allora l' unica cosa che ti viene in mente è di dire...

purtroppo “La vita e' fatta così”.

Ali d’angelo

sabato 15 ottobre 2011

Oltre la Luna

Oltre la luna,
oltre le stelle e il cielo
mandami un segnale sincero.

Ecco, ti aspetto
e ti tengo fra le mie braccia
con il cuor leggero.

Fior di loto

Il calore fra le mie braccia

Il calore fra le mie braccia

la tenerezza fra di noi,

sono tutto l'amore che ho per te.

Fior di loto

Per non dimenticare gli angeli

Ci sono occasioni in cui non vedere è meglio di vedere,

non sentire è meglio di udire le “frasi già fatte” ripetute da persone che il dolore, quello vero, hanno avuto la fortuna di non provarlo mai.

Esistono momenti in cui è sicuramente meglio urlare in silenzio o piangere in modo asciutto, perché hai concretizzato che non sarebbe  cambiato nulla.

Incidenti, malattie, diagnosi spietate che tolgono ogni dignità, ogni speranza.

Un anno fa un’altra stella si è accesa in cielo: era una donna che  non parlava con la bocca, ma con gli occhi ricchi d’amore e gioia.

La sua è stata una storia che mi ha catturato e il mio pensiero è ancora dedicato a lei ed alla sua famiglia, la cui cicatrice sarà ancora aperta.

Il Paradiso è l’unica meta che senza alcun dubbio ha raggiunto, perché aveva già purgato sin troppo in questo mondo ed ora sarà sicuramente libera di gridare e allora... strilla, urla e sgolati più che puoi.

Free

mercoledì 13 aprile 2011

Se...Ma...

Non si vive di se e neanche di ma; si vive per essere utili, per raggiungere degli scopi, alcune ambizioni che sono rimaste chiuse nei cassetti della vita.

La stessa vita che finora è stata sprecata in giorni persi.

A distanza di anni, però, c'è sempre la stessa domanda che sussurra nella mia mente: “Perché?”; non ho capito mai!

Non ho mai capito, perché non so da dove ricominciare.

A volte sogno di essere in mezzo al mare e fluttuare, pensando al mio nuovo inizio, ai miei sogni mai realizzati, alla libertà di poter fare qualsiasi cosa da sola.

Mentre scrivo piove; la pioggia che cade sono le lacrime del cielo,  come i veli di dolore che hanno segnato il mio viso per troppo tempo.

Ma quando meno te lo aspetti, arriverà il momento in cui non si vedrà più la pioggia, ma un cielo sereno pieno di stelle colorate: sono i sogni che si sono realizzati!

Da piccole cose si possono realizzare cose miracolose; bisogna crederci, non abbattersi.

Il piccolo seme di una sequoia dà origine a uno degli alberi più grandi al mondo e noi anche se abbiamo vissuto un'esperienza negativa che, sicuramente, lascerà un segno indelebile dentro il nostro cuore, possiamo e dobbiamo fare grandi cose. 

Free

sabato 26 marzo 2011

Fatti capire e capisciti

Fatti capire se non parli... metti quasi paura. Entri di diritto e  anche per dovere nella “categoria del dubbio” se non hai la fortuna di incappare in persone che si sforzano di scavalcare il muro di una bocca chiusa che se si apre dice al massimo “A” con variazioni sul tema “AAA” e l’aggravante di un corpo sbilenco e due straordinari pugnetti, niente che aiuta a far capire che “tutto sommato ci sei”. Se non un occhio vivo indice di freschezza come dal pescivendolo, con la fortunata differenza che tu dopo tre giorni non puzzi.

Molti l’hanno capito ma quando mi trovo di fronte “i pochi” me ne dimentico. In principio annaspavo alla ricerca di un metodo di comunicazione alternativo, fatto di sguardi, indicazioni, e con la  speranza che di là ci fosse sovrabbondanza d’intuito. Ora a distanza di anni non mi preoccupo, tanto si arriva comunque al dunque, indipendentemente da come mi abbia classificato il mio interlocutore. Sapessero certe persone che neuroni acrobati che mi ritrovo, il mio cervello si è specializzato in salti mortali e capriole per disincastrarsi dai luoghi comuni e se, per diverso tempo, ho imparato molti nomi e date a memoria, per essere sempre pronta a rispondere e a dimostrare che ero identica a qualsiasi bipede deambulante, ora non imparo a memoria anzi, dimentico automaticamente il nome di chi mi si presenta. Mi sono presa qualche piccola libertà.

E così quando l’interruttore del mio cervello ha ripreso lo stato “on” ho trovato occhi fissi ed espressioni dubbiose oppure li sentivo proprio addosso. Non mi sono abituata a vedermi “osservare  accuratamente“ ma con il tempo è diventato routine. Nel senso che il desiderio di scavare un buco nel pavimento non ce l’ho più. E poi non ci si guarda più in faccia, ho anche cambiato altezza, e il problema si è risolto gradualmente da sé.

L’amicizia di tanta gente ha rimediato ma non cancellato il passato. L’espressione ”Il passato è passato” purtroppo io non l’ho mai tenuta in considerazione, è la malattia più grave. E invece di guardare avanti mi sono corrosa. Ne è passato di antispastico nel mio corpo da quando una dottoressa graziosa per testare le mie facoltà cognitive mi faceva domande sulla persona che avevo di fronte come se non la riconoscessi, dandomi le diverse risposte del compito a quiz e indispettendosi vigorosamente per la mia risata. Una risposta, già decisa, era nascosta fra le righe: gli albori dello stato di insicurezza velata che tempo dopo avrebbe messo radici diventando decisamente ingombrante. Quando le figure che stimi anziché parlarti razionalmente affinché tu possa affrontare una vita alternativa, ti trasformano in una diagnosi grave, permanente, ti segnano, se non ti dici “okay ricomincio da qui”.

Intanto il tuo corpo non fa più rumore. Nessuno lo sa ma i gesti, le azioni, fanno rumore e la voce rimbomba, quando non c’è nessuna delle due, se non si è in un posto affollato si vive un fastidioso silenzio. Terreno fertile per l’insicurezza. Dopo un po’ che tanti o pochi dubitano di te anche tu lo fai. La cosa bella è che non lo fai in maniera continua. A momenti sbocci in prestazioni superlative poi rientri frettolosamente nel circolo delle domande a te stessa, domande di cui sai già la risposta, sì perché la parola d’ordine è guardare avanti e fare una cosa alla volta. Ma è una risposta che fa bella mostra in vetrina. Ti viene in mente solo quando vuoi esprimere saggezza, mettere in pratica è tutta un’altra cosa.

Ovviamente i problemi posso risolverli solo io, ma mi sfugge il perché ho dovuto attendere tanti anni di vita vissuta per capire che sono immersa nel disordine totale, dalle emozioni alle percezioni. Niente di quello che entra, esce o staziona in me ha il giusto peso. Il pianto è senza fine, la gioia è pianto... lo squilibrio delle emozioni è frustrazione. Ci vuole tanto tempo per capire, pensare diventa un’arma a doppio taglio, oppure bisogna mettere il disco orario al pensiero per evitare sconfinamento in territori ansiogeni, che guarda caso sono sempre dietro l’angolo.

Giuditta

Il gatto nell'erba

Davanti alla finestra non penso a niente di particolare. Vedo un remoto passato e un futuro che mi procura una sottile angoscia. Di notte sogno, sogni strani, che svaniscono al risveglio. Sul davanti la casa, alla fine di un viottolo, c’è un prato.

Su questo vi sono due ciliegi. Uno più piccolo e defilato, l'altro  sta in centro. Quello centrale è grande e grosso, ma i suoi frutti non sono buoni da mangiare. Come certa gente, sono solo apparenza e quando li hai provati sono senza sapore, e per di più cattivi.

Fioriti sono uno splendore. Il mio personale Giappone. In Giappone non ci sono mai andata, ma mi affascina moltissimo la sua cultura e la sua storia. Avevo un libro, in tempi non sospetti, che parlava della società giapponese, più di vent'anni fa. Per dire, che non risale all'altro ieri. Ero stata in Cina, e l'anno dopo avevo in programma di andare in Giappone. Poi mi sono ammalata gravemente. Ma questa è un'altra storia, vi dirò in un altro momento, o non ne parlerò affatto.

Ora sono passati dieci anni e chissà mai se ci andrò.

Del Giappone, mi intriga la cerimonia del the, che è una polvere verde ramarro. Mescolata con acqua dà una sorta di pappetta difficile da mandar giù, dal sapore vagamente amarognolo. Lo so che in Giappone ci sono diversi the, quello verde in polvere è quello che preferisco. Gli altri the hanno uno strano gusto di alga. E che dire delle geishe, tutti i libri sul Giappone, ne parlano. Con le loro faccette dipinte, sono ridondanti nell'abbigliamento, ma astratte come se guardassero sempre un giardino zen o ciliegi in fiore.

Ora questo gatto stava nell'erba alta, nel prato, dove ci sono i due ciliegi, si vedeva parte della testa e della coda che muoveva con ritmo, su e giù, come se avesse in mente un ritmo sincopato.

Questo gatto se ne stava tranquillo e rilassato, senza nessun pensiero al mondo, tranne che godersi la sua siesta. Penserete che ho fatto degli studi sui gatti, invece non so niente, proprio niente. Ma quando vedo un gatto, so capire il suo stato d'animo, perché il gatto nella sua interezza di gatto, somiglia a una persona e, come una persona, va capita. Aveva, sicuramente fatto una scorpacciata di erba gatta e si voleva riposare un tantino.

Qui i gatti sono curati moltissimo, raggiungono dimensioni notevoli. Ci sono gatti che sembrano leoni, pacifici e innocui leoni, o tigri. Non si scompongono mai, se tu li incontri per vie di questo borgo, non ti degnano neppure di un 'occhiata, passano indifferenti, solo come i gatti sanno fare. Non come i gatti di città, che se la vedono brutta in ogni caso. Ma quella è la città tentacolare, come si suole definire ogni città che si rispetti. Solo i gatti di casa ricevono amorevoli cure.

Qui i gatti sono liberi di andare dove più gradiscono, al sole, se  c'è sole, accanto al camino se fa freddo, o in un prato, come stava  facendo il nostro gatto.

Adesso penserete che ci sono cose più importanti che parlare di uno  stupido gatto. Parlare per esempio della fame nel mondo ma, se volessero risolvere questo problema tutti i governanti, nessuno escluso, di ogni fede, religione o razza, si dovrebbero a parer mio, mettere a fare una dieta per un anno. Una dieta che consista di pura aria. Così vedrebbero le cose con più chiarezza, non facendosi prendere da avidità, potere e denaro. Anche questa è una utopia.

Ieri nel pomeriggio c'è stato un violento acquazzone che ha ridotto i miei poveri ciliegi a un ammasso di foglie e fiori bianchi. Petalo per petalo, foglia per foglia. Così finisce anche la bellezza. La bellezza di un albero, nel massimo splendore della sua fioritura.

Anche quella dell'umana specie, senza che si possa fare niente per fermare il tempo.

Gli alberi soltanto hanno infinite primavere. Ciao gatto!

Andromeda

giovedì 10 febbraio 2011

Il capitano senza nome

Ci siamo conosciuti in una fase molto difficile della tua malattia, la sclerosi laterale amiotrofica, 3 parole che per te non avevano nessun significato ma ogni giorno ti davano sempre più peso.

Era come se portassi un brutto cappotto che non ti piaceva ma insistentemente lo sentivi pesare sopra il tuo corpo.

Ho sempre ammirato il tuo coraggio, eri come un capitano che sfreccia nel mare con la sua nave,
incerto di come sarebbe stato il suo viaggio.

Quando guardavi noi operatori i tuoi occhi brillavano come stelle, il tuo sorriso risplendeva, nonostante la sofferenza, come una bandiera.

Ecco... sicuramente resterai uno dei migliori capitani.

Anche se il tuo viaggio qui e' finito
spero che nell'azzurro del tuo mare il viaggio continui e non abbia ancora trovato meta.

Non ti dimentichero',

Ali d’angelo

Il di-segno

Ci troviamo in un bosco. Il profumo dell’erba, il fruscio delle foglie, l’aroma dei funghi e i tanti fiori selvatici inebriano i miei sensi. La creazione del nostro Dio illumina i miei occhi per le tante meraviglie. Tanti alberi rigogliosi pieni di frutti, quelli che offre la natura: per ogni stagione il suo frutto, la sua primizia. Il verde mischiato ad un po’ di giallo sono l’annuncio dell’arrivo dell’autunno.

Come in ogni stagione della nostra vita “fulmini e saette”… la pioggia scende giù a ritmo impetuoso, così le mie lacrime scendono dal mio viso. Non pioverà per sempre… dopo un lungo periodo di stagione invernale e di freddo nel cuore: la primavera, che riporta con sé luce, colori e un caldo mite.

Come una pietra infuocata torna a splendere il sole è come un cuore  matto che batte, non matto da legare, ma che ha tanta voglia di gridare perché ha molte cose da raccontare.

In questo bosco meraviglioso, nel creato meraviglioso, ci sono generi di animali di tutte le specie, ma un animale curioso ha spesso accompagnato il mio percorso. Un animale che incute un certo timore e sospetto, la sua immagine è cupa, i suoi occhi troppo grandi che mi guardano, mi fissano, mi seguono.

“Oh!” e qui la domanda sorge spontanea: “Non sarà mica una gufata?!”...

In realtà questo animale è buono, è una creatura voluta dal Signore. È un animale notturno, anch’esso bisognoso di trovare protezione, comprensione e un po’ di calore nel suo habitat naturale.

... “Non sarà che siamo troppo condizionati dalle immagini e dai preconcetti?”...

Come nel cuore di ogni uomo, così anche nel mio le tenebre della notte dovevano fare spazio alla luce del mattino.

Cosa cercano gli alberi del bosco, il fruscio delle foglie, gli animali di tutte le specie, la misteriosa creatura, il cuore impetuoso, la pioggia che scroscia, i fulmini che vengono giù come
saette, la pietra infuocata?

Non un castello regale, ma una dimensione in cui creature e creato trovano nel loro giusto equilibrio il ristoro e la pace.

Come dice quel proverbio: “La vecchia non voleva morire per imparare”, ebbene anche noi possiamo rileggere la nostra vita come  tessere di un mosaico pieno di colori, a volte anche spenti e tristi, altre volte ricchi di colori vivaci...

Di queste tessere nemmeno una sarà persa per riempire il disegno che Dio ha prestabilito per ognuno di noi.

“Ci vorresti mettere una cornice? Lo puoi fare. Preferisci senza? Lascia stare. Comunque vada, il tuo “disegno” non lo potrai buttare”.

Grillo

domenica 9 gennaio 2011

Fine o inizio?

Quando passa tanto tempo, non sai se desideri di più la fine o un nuovo inizio.

Free

sabato 1 gennaio 2011

I 10 comandamenti della vita

La tua vita è appena iniziata, respirala fino alla fine e segui anche queste regole:

1) Non commettere gli stessi errori miei, te ne prego

2) se avrai momenti difficili tu sorridi lo stesso in modo che altri non si accorgano della tristezza che hai nel cuore

3) se cadi, rialzati in fretta

4) non permettere che calpestino il tuo essere

5) difendi sempre le tue scelte

6) battiti per ottenere quello che vuoi

7) sii forte, supera i pesi che la vita ti propone e sfidala

8) non farti mai comandare

9) sii libera, anche di sbagliare

10) non lasciarti ingannare.


Apri le ali angelo mio
e otterrai tutto quanto ti è dovuto.

Quando sei nata,
la luna era crescente
come saranno sempre in crescita
anche le tue conquiste.

Ti auguro il meglio
e anche un po' di più;
ogni piccolo passo che farai
sarà già una conquista.

Non cedere, non cedere mai.

Vorrei essere io ad accompagnarti
... non so se ci sarò,
ma non scordare mai che ovunque io sia
quando ne avrai bisogno
io sarò presente
e che già sei un piccolo angelo
tra altri angeli. 

Free

La quarta marcia

Eh sì, esiste anche questa da sfruttare;
la quarta marcia che non non si riesce ad usare quando si sta male moralmente.

Ma sono convinta che animo e fisico camminino insieme
ed è per questo che l'anno prossimo partirò in quarta lasciandomi il passato alle spalle anche se mi fa ancora male.

Ricomincio da me!

So che il passato viene perdonato e che il futuro viene donato,
ma voglio metterci del mio per tornare frizzante e solare come un tempo.

Attenderò il futuro che mi sarà donato con il cuore e con le braccia aperte.

Sono qui ...... , poi però sarò io a valutare se è abbastanza per il momento o meno.

Sono credente e mi dispiace scrivere questo, ma l'anno nuovo o sarà buono o sarà ultimo.

Free

A lei

Pochi mesi fa ho conosciuto una donna,
era un miracolo quella donna;
non parlava,
ma parlavano con amore i suoi occhi.

Era tanto gentile e nobile, era un angelo di bontà.

Il Signore l’ha voluta vicino a Lui,
perché è un pezzo di paradiso.

Il suo uomo e la sua famiglia la piangono,
ma non sanno che lassù
riuscirà a muovere quelle labbra
che qui non riusciva.

Vorrei dirti, amica mia,
non temere, non succede nulla
è solo un posto nuovo
dove potrai abbandonare
tutte le tue prigioni.

Ti saluto amica mia
e finalmente grida, grida, grida

Free

Ad Ale

Ti ho imparato a conoscere nel tempo, durante i diversi ricoveri che hai fatto in questo ospedale. 
Tanti in questi ultimi anni. Puntualmente ci incontravamo per fare il punto della situazione, per capire cosa si poteva ancora fare. 
Poi un giorno sono arrivata in ospedale e mi hanno detto che non c’eri più, siamo rimasti tutti senza parole.
Eri di casa qui, vicino eppure lontano, combattevi contro quel male o “compagno” che ti aveva obbligato a lasciare il tuo paese, i tuoi affetti e che un po’ alla volta ti ha legato a questo posto.

Qui tutti, ognuno a suo modo, ti volevamo bene.

Di ognuno di noi sapevi tutto, i problemi, i progetti, le avventure… non dicevi mai di te, quando ti si incontrava la tua prima domanda era:”Come stai?”

Anche senza la voce ti facevi capire, dai tuoi occhi traspariva benissimo come ti sentivi, e nonostante le mille difficoltà ti sei preoccupato di noi fino alla fine.

Ci è rimasta la tua voglia di vivere e il tuo sorriso.

Ci manchi, ovunque tu sia ora.


Beating Heart