mercoledì 22 agosto 2012

Un bacio soffiato al vento e i fiori raccolti

... si, un bacio, che parte da un pugno chiuso e quando si apre lascia andare tutti i desideri che si hanno e saluta tutte le persone care che ci guardano da lassù.
E poi... se la salute, l'amore e l'amicizia sincera fossero dei fiori... li raccoglierei e me ne prenderei cura come se fossero gli unici gioielli rimasti nel mondo.
Free

venerdì 3 agosto 2012

Guardando Una Foto

Ho in mente la foto di un volto incompleto, come un frammento, forse strappata da un atto violento, o forse a causa di un dolore improvviso.
Ho in mente tutte le parole, le musiche, i colori offerti durante le sedute, in terapia.
Quanti aspetti ha la sofferenza e in quanti modi si mostra…
Penso ai volti che conosco e che tanto avrebbero da dire, ma è come se ci fosse una sorta di pudore, o forse di rassegnato egoismo. Quasi che lo strappo abbia il potere di ammutolire ogni grido rendendo sordo chi guarda.
E poi penso a me e rifletto sulla mia voce.
E’ davvero tutto così difficile? O questo è solo un punto di vista?
Francesca Vannini

martedì 12 giugno 2012

Figlio della Luna

Figlio della Luna

C’era una volta una ragazza che si era innamorata pazzamente di un ragazzo gitano, ma lui non la voleva.
Andò dalla Luna e le chiese: “Fa che lui si innamori di me e il primo figlio che avrò te lo donerò”.
Dopo questa richiesta la Luna prese la bacchetta magica ed esaudì il desiderio della ragazza e il gitano si innamorò di lei. Ma da questa unione non nacquero bambini.
La Luna, ricordandosi della promessa, decise di fare in modo che la ragazza potesse rimanere incinta.
Lasciò cadere in una fontana zampillante un anello magico, la ragazza quando si avvicinò per bere, lo trovò, lo mise al dito e poco dopo rimase incinta di due gemelli: un maschio e una femmina.
Quando nacquero i bambini la ragazza donò la femmina al Sole e il maschio alla Luna.
La ex fidanzata del gitano, rimasta abbandonata, invidiosa e piena di odio, a questa notizia per vendicarsi, mandò un drago a rapire i bambini.
I due genitori, disperati, chiesero consiglio al vecchio saggio della montagna che ordì un piano per liberare i piccoli.
Innanzitutto interpellò la Luna per avere la protezione necessaria. Poi chiamò a raccolta gli abitanti del villaggio e li istruì sul da farsi.
Con il favore della Luna piena partirono tutti alla volta del nascondiglio del drago e lo trovarono addormentato. Con le spade lo trafissero nei suoi punti vitali e lo uccisero, portando in salvo i due gemelli che da allora vissero per sempre felici con i genitori sotto la protezione del Sole e della Luna.

Gruppo di persone ricoverate

LE FANTASIE DI S.L. ...

LE FANTASIE DI S.L. ...

In un tempo lontano, viveva una amabile nonnina, che abitava in una casa da sola in mezzo ad un bosco, lontano dal paese.
Ella preparava dei buonissimi dolci con la speranza che i suoi nipotini la andassero a trovare.
Siccome era pericoloso, l’andare soli, si fecero accompagnare dalla Zia.
Nel mentre la nonna stava sfornando dei squisiti dolci, sentì bussare alla porta, apri,... e chi vide?... i suoi nipotini; li abbracciò affettuosamente stringendoli al cuore.
Tra questi bambini ve n’era uno in particolare che era specialissimo, poiché portatore di un handicap, ma era il più sensibile in quanto avrebbe voluto andar più spesso a trovar la nonna.
Purtroppo, essendo questo suo desiderio impraticabile, poiché verso l’imbrunire nel bosco c’erano dei lupi, suggerì ai suoi fratellini di chiedere alla mamma, di portare a casa a vivere con loro, la nonna.
La mamma acconsentì, e cosi la nonna poté preparare ogni giorno dei buonissimi dolci, che i nipotini apprezzarono, senza più nessun pericolo.
Cosi vissero felici e contenti in una famiglia riunita riempiendo, in questo modo, le giornate rendendole gioiose come fossero riempite dal calore di un bel sole.
Il gruppo MAT

Spaziare nell'universo


Spaziare nell'universo
Spazzare via la malinconia non è facile. Perchè a volte ci si mettono di fronte prove durissime? ...
Non ha nessun senso perdere tanto tempo per risolvere alcune situazioni che sono successe in un attimo! 
Manca qualche cosa... il resto che il destino mi deve dare perchè mi ha rubato un pezzo di gioventù; se non mi rende quello che mi deve me lo prendo....ma poi cosa faccio?
Da una decina d'anni e anche più, mi piace immaginare che lassù esista un grande prato fiorito, dove le stelle sono i fiori colorati: sono i nostri cari che ci stanno guardando; alcune stelle brillano di più, perchè sono diventate corpi celesti da meno tempo, altre perchè sono persone a noi più care; altre invece sembrano più piccine solo perchè ci indicano la direzione.
Comunque si presentino sanno brillare ognuna di luce propria in un immenso universo di soave tranquillità dove non esistono giudizi e pene inutili da sopportare.
Vivere è vita velata da respiro.


Free

Miele


Miele
Ho 54 anni, ho la leuco... “sclerosi multipla” da 31, mi è stata diagnosticata quando ne avevo 29 e avevo già un marito e due figlie una di nove anni e una di tre.
Per me era una malattia come le altre, non avevo capito cosa fosse.
Mio marito me lo lasciò credere, di questo lo ringrazio.
Ho vissuto undici anni tranquilla senza l’angoscia di dire “cosa mi succederà...”.
In tutto questo tempo ho visto il mio corpo cambiare in modo incredibile. Ho cominciato ad aver bisogno di un appoggio per camminare, inciampavo, trascinavo i piedi, in poco tempo sono passata dal bastone al deambulatore. Cominciai a capire, andai a vedere sul dizionario cosa volesse dire leucoencefalomielite: non so descrivere quello che ho provato.
A quarant’anni per uscire di casa mi serviva la carrozzina, facevo fatica a camminare, le gambe si stancavano molto facilmente. Mi è crollato il mondo addosso. Non volevo crederci. Non volevo uscire. Sono stata un anno e mezzo senza uscire di casa: non volevo vedere lo sguardo delle persone. Mi vergognavo.
Ma con l’aiuto di mio marito e delle mie figlie un po’ alla volta ho imparato ad uscire con questa compagna inseparabile.
Grazie a loro sono riuscita ad accettarmi così come sono.


Miele

Verità nascoste


Verità nascoste
Non so per quale motivo, alcune volte sento proprio il bisogno di scrivere quello che ho dentro; forse perché scrivere è un'ottima valvola di sfogo che mi permette di cacciare fuori le emozioni.
Non si è più ragazzini e penso che a distanza di anni sia anche ora di liberarsi da questa roccia che preme contro il mio cuore... ebbene sì, non ho mai voluto ammetterlo ma c'è... la sclerosi multipla... e ora come faccio dopo lo stravolgimento totale che ha avuto la mia vita in seguito ad un altro evento?
Come faccio ad approcciarmi ad un altro uomo sapendo quali sono le mie difficoltà?
Eh sì, perché mi sembra giusto che un compagno che pensavo fosse l'uomo della mia vita e a cui ho donato la mia di vita, non riesca a sopportare il trauma e accumuli problemi su problemi fino a quando ho trovato la forza e il coraggio di dire stop.
Ma ora mi trovo non più ragazzina ad avere il timore di trovare la stabilità; mi dicono: "ne trovi 1000 come lui" e io mi chiedo Dio perché non ti sei occupato di lui mentre io non c'ero e lasciavi perdere per un momento gli altri 999; non ti dico che avresti dovuto abbandonarli, ma solo per un momento.
Ho tante cose belle da ricordare assieme a lui, ma solo ricordi.
I sentimenti li ho chiusi nei cassetti, li porto sempre con me, ma ormai sono chiusi nei cassetti e come nella savana i leoni non tornano nei loro passi anch'io farò così: amando, soffrendo, rischiando, ma pure io farò così.
Eh sì, hai ragione camice bianco 'La vita e' fatta così'.
Free

mercoledì 6 giugno 2012

Un medico, un malato, un uomo, come la malattia che mi uccide mi ha insegnato a vivere


“… un corpo nudo, spogliato della sua esuberanza, mortificato nella sua esteriorità fa brillare maggiormente l’anima, ovvero il luogo in cui sono presenti le chiavi che possono aprire, in qualunque momento, la via per completare nel modo migliore il proprio percorso di vita…”

Questa frase è tratta da un libro a me molto caro, che racconta l’esperienza di un medico, giovane e affermato, che si ritrova a dover fare i conti con una malattia che non lascia scampo: la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica).
Questo uomo è  il Dott. Mario Melazzini, il Presidente Nazionale dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), noto a tanti per gli interventi in TV sul tema della dignità della persona malata e del fine vita.
Il libro è scritto a 4 mani (dottor M. Melazzini, M. Piazza): da una parte i pensieri dell’uomo con questa nuova “compagna”, dall’altra il racconto di chi l’ha conosciuto dopo la scelta di combattere e non lasciarsi andare.
Perché leggerlo?
I motivi possono essere molti e diversi, capire più da vicino cosa significa vivere con la SLA, leggere un racconto di vita, … per me uno su tutti: comprendere che c’è possibilità di vivere intensamente nonostante tutto.
Concludo con la risposta del Dott. Melazzini alla domanda 

“Che cosa Le ha tolto la SLA?”

“La sclerosi, a parte la motricità, non mi ha tolto nulla, anzi mi ha dato tantissimo. Ho pensato al suicidio assistito, ma poi mi sono detto: ùe Mela, a chi ti ama vuoi lasciare un gesto di egoismo? Così ho incominciato ad aiutare i 4.500 italiani affetti dalla sclerosi!
La morte? Intanto pensiamo a vivere!”



Melazzini Mario; Piazza Marco; Un medico, un malato, un uomo, come la malattia che mi uccide mi ha insegnato a vivere. Editore LINDAU (2007)

Recensione di Gioia Marcassa

giovedì 12 gennaio 2012

Caro Babbo Natale...

La città cambia volto, si prepara per la festa, vestendosi di luci e lustrini di ogni genere, e sfida a colpi di sciabola chi la magia che avvolge l'intero periodo non la sente più.
La vittoria è senz’altro del genitore che in seguito a un incidente ha perso il figlio, del bambino che piange perché “la mamma è volata in cielo”, del ragazzo affetto da una malattia degenerativa, dell’artigiano costretto a “chiudere bottega” per via della crisi, della famiglia che ha perso tutto in una frana o in un terremoto. E come potrebbero non avere la meglio? Cosa importa di un abete addobbato, quando la sofferenza lacera dentro?
Beh, vale però la pena affermare che Natale non è semplicemente un’occasione per far girare l’economia… Aldilà di colossali alberi che seguono la moda del momento, aldilà di panettoni che ti farebbero vendere anche l'anima, aldilà di lenticchie e cotechino, aldilà dei mille "babbi Natale" che all'ingresso dei supermercati ti augurano buone feste intonando l'allegra, conosciuta canzoncina, aldilà dello shopping e dei lucenti pacchetti rossi o dorati che ti stordiscono, aldilà dei film in tv proposti e riproposti,aldilà del coro dell'Antoniano... c'è la Speranza!
C'è la speranza di milioni di bambini che scrivono dei loro desideri a Babbo Natale, di milioni di adulti che auspicano al riscatto altrui e personale. C'è dunque chi spera che il proprio debito venga condonato, chi spera di trovare lavoro, chi spera che la persona amata torni sui suoi passi, chi spera di poter dar vita a un figlio, chi spera di riuscire a passare la spugna su un ricordo doloroso, chi spera in un nuovo rene, chi spera che il futuro possa somigliare al passato, chi spera di non doversi accontentare,chi spera che presto una cura ai “mali terreni” venga trovata.
Io mi accodo a quest’ultimi, rivolgendo tutte le mie speranze nella conquista della Fiducia. “Dio veste l’erba del campo che oggi c’è e domani si getta nel forno”, perciò mi convinco che un grande male davvero affligga la Terra: cos’è che porta l’uomo a credere che Dio non abbia in servo il meglio per lui? È un padre.
Da piccola correvo a lungo intorno al tavolo, seguita da papà, armato di sciroppo e cucchiaio; io, ovviamente, non volevo la medicina… lui, ovviamente, voleva che la prendessi. Era amara e andava giù a fatica. Eppure mi guariva...
Ecco. Supponiamo che Dio voglia guarire l’anima dell’uomo. Magari, per farlo, ha bisogno di propinargli una medicina “amara e difficile da mandar giù”. Se solo l’uomo avesse un po’ di fiducia in Lui, capirebbe che quella che gli sembra un’atroce punizione o la più intollerabile delle ingiustizie, potrebbe in verità essere il dono di un padre che sa quello che fa.
Io non so perché a qualcuno sia concesso di tappare il naso per non sentirne l’odore o perché alcuni possano “cavarsela” con uno buono sciroppo alla fragola. So, però, cosa vorrei trovare sotto l’albero...
Vorrei trovarci la Fiducia. Vorrei riuscire a fidarmi pienamente di mio Padre, vorrei che chi soffre potesse riuscirci. Lo desidero con tutto il cuore.
Perciò, che questo Natale segni la rinascita della Speranza e della Fiducia e non soltanto il ricordo (“inquinato”) della nascita del Verbo fatto carne. Che tutti voi possiate avere fede in un Padre che ci ama, malgrado talvolta la Sua manifestazione d’affetto discosti dai canoni umani.

Buon Natale!

Chiara Ferrante

Tre anni dopo

Ti ho imparato a conoscere nel tempo, durante i diversi ricoveri che hai fatto in questo ospedale.
Mi rendevo conto della situazione che vivevo nel momento in cui dovevo risolvere una questione fondamentale per me, per esempio: fare gli esami del sangue, specificamente il tempo di Quick, ogni settimana e dovevo far venire l’infermiera a casa.
Nessuno mi aiutava o meglio, io non volevo aiuto da nessuno perché, mi dicevo: "Telefono e faccio venire l’infermiera". Ma non era così semplice.
Infatti, bisognava prima di tutto, trovare il numero di telefono, dopo, parlare con l’impiegata, prendere quindi l’appuntamento con l’infermiera e infine stabilire con lei, un calendario per i prelievi.
Cose semplici, adesso, ma tre anni fa, vi assicuro non erano semplici per me.
La cosa che più di tutto mi abbruttiva, mi rendeva sempre più associale era, il non sapere cosa fare, sentirmi inutile, aspettare la sera per sedermi a tavola con mio figlio e mia moglie.
Per non parlare dei fine settimana, altra questione drammatica: prima, ero sempre impegnato tra la politica e la famiglia, ora, il divano era l’unica prospettiva che mi attendeva o che io vedevo.
Un giorno di aprile, di due anni fa, eravamo a tavola, Rosanna se ne uscì con "Sabato sera vado a trovare mia madre, vieni?"
Mi si aprì il mondo! Dissi di si e poi feci mille domande tipo: "Chi ci portava? A che ora andiamo? Ma ce la faccio a camminare con il buio?"
Ricordo ancora la risposta: "Non volevi uscire?"
Ancora mi chiedo se quella risposta nascondeva il fatto di volermi mettere alla prova o semplicemente era un modo di mettere a nudo i miei limiti.
Sta di fatto che venne il sabato sera ed io ero pronto, dopo quasi due anni uscivo per piacere, avevo un appuntamento con mio cognato e sua moglie e andavamo ad una cena da mia suocera.
Ero felice e preoccupato, allo stesso tempo ma ostinato e deciso ad affrontare il buio e sicuro che ce l’ avrei fatta.
In macchina, andai con la mente al cancello di casa di mia suocera e lo fotografai con la memoria per capire se avrei trovato ostacoli troppo difficili per me.
Ero talmente emozionato che quasi non parlavo, cercavo di cogliere tutti gli odori, le sfumature così per avere una fotografia completa dell’ambiente.
Ancora adesso ringrazio mia moglie per avermi spinto ad uscire anche se, lasciare il mio ambiente “protetto”mi faceva una certa paura.
Avevo rotto il ghiaccio e mi sentivo pronto per nuove conquiste. Sì certo, di conquiste parlo, perché quasi tutto ciò che mi circondava era ostile.
Per esempio, alzarsi da letto, cosa c’è di più semplice e naturale? Ma non è così per un disabile con problemi di deambulazione come me. Anche questo gesto semplice, è stata una conquista.
E lavarmi in bagno? Purtroppo il mio bagno non ha la doccia ma, la vasca; ci sono voluti tre mesi per superare la barriera costituita dal muretto che circonda la vasca.
Sono stati tre mesi di studio e prove per trovare il modo migliore e più semplice per superare quell’altezza di 90 cm, poi finalmente abbiamo capito come fare.
C’era bisogno di una tavoletta dove potevo sedermi in modo che, con un aiuto, potevo alzare le gambe e così, finalmente, potevo essere lavato.
Per non parlare poi dell’uso del bidè, si perché, potermi fare un bidè è stato un sogno per tanto tempo.
All’inizio non riuscivo ad alzarmi, poi provai con il tripode ma risultava poco sicuro; provai con una sedia e vidi che la cosa era fattibile.
Ho fatto alcuni esempi a dimostrazione che niente è scontato per me e, che mi devo conquistare tutto.
Vivevo una situazione allucinante: avevo quasi tutto a disposizione ma non potevo usufruire di niente per il semplice motivo che non ci riuscivo.
Facevo delle lunghe passeggiate: mi rendo conto che chiamarle passeggiate è una forzatura perché, in realtà non passeggiavo, mi trascinavo, ma in ogni caso, uscivo di casa e andavo sul viale dove c’è il marciapiedi attrezzato anche per i disabili.
Poi andavo a comperare il pane e il latte che mettevo in una grande borsa a tracolla: anche quello era un modo per sentirmi utile.
Ricordo che in quel periodo, era ottobre 2009 vennero a trovarmi due “compagni" a casa: che delusione!
Sembravano delle persone mai viste, assomigliavano a dei piazzisti: tutto quel "fare" ha come obiettivo solo l’interesse personale.
Sono rimasto molto deluso.
Ora capisco perché al San Camillo ci sono delle persone disabili che ogni anno si trovano e stanno assieme durante il periodo di riabilitazione.
I disabili si sentono diversi e cercano "rifugio" in un ambiente non ostile, protetto, come si dice ora.
Questa cosa per me è sbagliata, limitativa e anche un po’ ipocrita ma, mi rendo conto che per alcuni, vuol dire crearsi uno scopo, un’illusione, un motivo per continuare a vivere.
Poi un giorno feci una telefonata ad una sindacalista che avevo conosciuto quando lavoravo all’Esu di Venezia.
Un po’ titubante gli chiesi se aveva qualcosa da farmi fare, naturalmente senza nessuna pretesa, mi mettevo a disposizione per qualsiasi cosa.
Ricordo la risposta: "Fammi chiedere al segretario, ti chiamo".
Non nascondo che per tutto il giorno rimasi in attesa sperando che chiamasse; arrivò la telefonata con la quale T. mi diceva di passare in ufficio il giorno dopo alle ore 11.
La risposta generò una serie di ansie miste a domande alle quali non sapevo dare risposte lì, su due piedi.
Con coraggio decisi di sedermi sul divano e mi raffigurai la scena della mia uscita dal cancello di casa in sella allo scooter (è un mezzo elettrico con quattro ruote) e poi via, via tutto il tragitto fino all’entrata nella sede sindacale.
Era la prima uscita che facevo dopo tanto tempo, da solo, con uno scopo preciso, non volevo che fosse un’esperienza negativa.
La mattina mi alzai presto dal letto e iniziai a prepararmi: non ricordo quasi niente di quella mattina, se non lo scooter, la strada e l’ufficio di T.
Iniziai così un nuovo percorso di vita: avevo vinto resistenze, pregiudizi, remore culturali e potevo dire che mi ero fatto da solo.
Questi tre anni non sono stati subiti ma vissuti, certamente vissuti in modo disordinato, per certi versi caotici ma vissuti.
Ho ancora mille paure che mi assalgono ogni giorno, a cui faccio fronte con l’aiuto di mia moglie, dei miei figli, dei compagni del sindacato.
Posso dire che ho iniziato una nuova vita, più complicata ma allo stesso tempo affascinante, nuova.

Francesco Liberatore

Il volo del gabbiano

C’è silenzio nella stanza. Tre persone dormono e io spero che la loro mente sia in viaggio verso piacevoli lidi. Magari una fra queste sta scalando ripide montagne, non perdendo la vetta come unica meta possibile, un’altra è tornata a vivere l’estate della sua vita e sono quasi certa che una di esse stia raccontando un brutto sogno alla sua famiglia, non tralasciando gesti e parole inespresse.
Una signora sembra essere in procinto di inveire duramente contro un’acerrima nemica: la sua mano. Ha l’aria stanca, ma ostinata: quell’arto dovrà decidersi a muoversi, prima o poi!
Le sedie, posteggiate accanto i loro letti, raccontano le piccole grandi tragedie che si sono abbattute sulle loro vite, così come il cigolio delle ruote “in corsa” per il corridoio.
Fuori c’è il sole e l’occhio non può che spaziare dalla grande macchia verde all’immenso mare blu, che circonda il parco, restituendomi l’idea di essere su una piccolissima porzione di terra perduta nel mare. I gabbiani si librano alti nel cielo sopra di noi, quasi a volerci dimostrare di non essere schiavi della gravità e di quell’isola…
Io non ho le ali. Nessuno le ha qui. Qui bisogna fare i conti con un corpo che magari hai amato fino al giorno in cui ti ha reso schiavo, o che hai disprezzato e che oggi vorresti ti fosse restituito per farne il tempio della tua anima. Qui si scopre la fatica. Quella vera.
Un uomo di circa quarant’anni continua ad affrontare il lungo corridoio del reparto, ben saldo al passamano e trascinando una gamba che ha perso la vecchia armonia con la compagna di traiettoria. Un ictus gli ha provocato un’emiparesi laterale, non gli rimane che impegnarsi fin quando il suo corpo deciderà di obbedire al suo volere, fin quando potrà tornare a prendersi cura dei suoi figli.
Un ragazzo di circa vent’anni , affetto chissà da quale tremenda malattia, mi saluta con voce meccanica, prima di urtare un cestino della spazzatura. Non lo ha visto. Non sono certa che veda me. Però mi sorride e il suo sorriso non nasconde nessuna forzatura, nessuna falsità.
Un simpaticissimo maestro in pensione si ferma di tanto in tanto per scambiare due chiacchiere. Per me sta diventando quasi un nonno, lui mi incontra sempre per la prima volta. Ha subito un delicatissimo intervento al cervello, perché un aneurisma rischiava di esplodere da un momento all’altro, non lasciandogli nessuna speranza. Fu dato per morto, oggi è qui che conversa con piacere e coinvolgimento. Magari non lo ricorderà tra cinque minuti, ma poco importa perché della moglie (sempre al suo fianco) e delle figlie si ricorda eccome.
Ma è un ragazzo “di un’età indefinita” che mi ha indirizzata verso orizzonti del tutto nuovi e paesaggi inesplorati. Il suo corpo riporta e racconta i segni di una vita dura, di una malattia che non guarda età: la sclerosi multipla. La malattia gli ha portato via “gli anni d’oro” e non solo. Ma lui è qui e non è sconfitto da una sedie a rotelle: lui vive il suo presente, che è riuscito a non contaminare della negatività del passato. Non ha vinto la malattia su di lui. A dirla così, sembra una fesseria, ma giuro: le sue parole, i suoi modi di fare e il suo vivere mi hanno cambiato la vita.
Osservo meglio i gabbiani e comprendo che anche loro sono costretti a scendere sulla terra e a fermare il loro volo: devono nutrirsi. Fatto ciò possono ripartire, raggiungere le nuvole e scomparire nel sole.
Adesso, mentre sono qui a battere sui tasti della tastiera le dita, penso che c’è chi non può farlo. Penso che c’è tanta gente che non può parlare, sentire, camminare, ricordare. C’è gente che si chiede perché una vita gli è stata donata, o che ingloba rabbia e amarezza per il destino riservatogli. C’è anche della gente, però, Maestra di Vita, gabbiano fra cielo e terra. Ed è a loro che io voglio dedicare queste righe, per esprimere un GRAZIE che non si perderà nel tempo e allo scontrarsi con le difficoltà del cammino della vita.

Chiara Ferrante

Legami

Ero ospite da mia figlia che aveva dei problemi di salute e avendo due bambini piccoli aveva bisogno di aiuto.
Ero ospite da mia figlia che aveva dei problemi di salute e avendo due bambini piccoli aveva bisogno di aiuto. Mia figlia è stata operata al seno per un tumore. Con i parenti non mi sono fatta sentire perché non avevo informazioni precise da dare. In questi casi davvero non si sa cosa dire, i medici non sono chiari. Ti gira solo la testa… È stato lì che la mia malattia si è aggravata: non ho più camminato senza ausili e sono dimagrita 10 Kg in quattro mesi senza fare nessuna dieta. Poi sono tornata a casa e sono cominciati i problemi con mia sorella.
Non le ho chiesto aiuto, anzi non le ho chiesto nulla, perché grazie a Dio non ho bisogno di nulla, però lei ha rotto i ponti. Da quando io non cammino più senza ausilio, ogni cosa che dicevo veniva fraintesa sempre a suo favore. Io ho sempre aiutato tutti, genitori, mio fratello, per quello che potevo. Adesso che ho bisogno di compagnia, di una parola, si è allontanata. Forse ha paura del domani, di quello che può succedere, di cosa potrei aver bisogno (o forse ha un po’ di arteriosclerosi…).
Mia madre quando stava male era più pesante per le sue lamentele che per le cose di cui aveva bisogno, mia suocera lo stesso. Quando mi sono ammalata io ho detto “non voglio far pesare a nessuno la mia malattia” e così gli altri vedendo che non mi lamento l’hanno presa come se io fossi superficiale. Ma loro lo sanno che è una malattia piuttosto seria, come ne sono consapevole io, ma mi fanno quasi sentire in colpa.
Comunque la cosa che mi fa più male è l’atteggiamento di mia sorella. Per il resto adesso va più o meno tutto bene.

Matilde

Il Girasole

Questa sera, guardando il cielo stellato di fine settembre, ho ricordato quanto mi piacevano i girasoli simbolo di allegria e orgoglio; aggiungerei anche di coraggio che, fortunatamente, non mi è mai mancato: ora ancor meno.
Mi piacevano e mi piacciono tuttora, solo che ora hanno un significato un po' diverso perché a volte mi immagino come questo fiore: piego il collo nei momenti di sconforto come fa il gambo di un girasole quando non vede il sole e lo rialzo quando reagisco come fa il girasole quando esce il sole.
E' un sole pallido quello che vedo che prima compare e poi scompare: "alti e bassi" si usa dire dalle mie parti; ci sono sempre stati ma l'allegria manca da un po' e quello che più ti fa capire in che società superficiale viviamo è che non facendo mai mancare il sorriso fuori dalle mura domestiche, le persone ti dicono: "Però, ti vedo bene, ma come fai a prenderla così?" e magari hai pianto fino a 10 minuti prima in casa tua.

Free

Il ranocchio

Un giorno si organizzò una gara di ranocchi, l'obiettivo era di arrivare sulla cima di una torre molto ripida. La folla si radunò per fare il tifo, ma in realtà la gente non pensava che i ranocchi potessero raggiungere la cima: si erano riuniti solo per curiosità e così, quando iniziò la gara si udirono solo frasi come: "Che pena! Non ce la faranno mai". I ranocchi iniziarono a mollare, tranne uno che continuava a cercare di raggiungere la cima. Le frasi che si sentivano erano sempre le stesse "Non ce la faranno mai".
I ranocchi iniziarono a desistere tranne il solito ranocchio che continuava ad insistere; alla fine tutti mollarono tranne il solito ranocchio testardo che solo e con grande sforzo continuava ad insistere e raggiunse la cima.
Gli altri volevano sapere come avesse fatto e scoprirono che .... era sordo!
Morale: esco solo con i tappi alle orecchie.

Free