martedì 1 giugno 2010

Il centurione Giulio

Correva l’anno 61 D.C. e nelle campagne intorno a Roma erano i giorni in cui il vento di scirocco portava il primo tiepido sole e sbocciavano la malva ed il tarassaco. Il centurione Giulio si sedette su una pietra nera di lava e si tolse l’elmo. Fatto di ruvido cuoio con borchie in bronzo, portava come segno della sua autorità, una piccola lupa sulla fibbia d’argento che stringeva due lacci pure in cuoio . Aveva dato un ordine secco ed i suoi uomini si erano disposti ad un breve riposo – era l’ora in cui il sole era più alto nel cielo – tenendo d’occhio i prigionieri.. Ormai così vicini alla meta sarebbe stato il colmo che qualcuno gli sfuggisse proprio ora.
Erano partiti da Cesarea sei mesi prima, ma appena lasciate le coste sicure di Creta, la loro nave era incappata in una tremenda tempesta e solo grazie alla Dea Fortuna erano riusciti ad approdare sulle spiagge di un’isola chiamata Malta. Accanto a lui un prigioniero attendeva in piedi un suo cenno per sedersi.
Ma quell’uomo in piedi non mostrava alcun segno di sottomissione : il volto magro aveva i lineamenti del Giudeo, ma gli occhi vibravano di una luce intensa e tutta la sua persona emanava una autorità, che il centurione Giulio suo malgrado aveva finito per riconoscere. Quell’uomo sembrava conoscere tutto : durante la tempesta si era mostrato coraggioso ed aveva incitato i marinai. Aveva guarito ferite mortali, conosceva il greco ed il latino.
Si era dichiarato « cittadino romano » ad un processo in Cesarea si era appellato a Cesare. Ma quell’uomo aveva un ben più straordinario potere, quello di piegare il cuore degli uomini. Giulio si chinò, con una ciotola raccolse un po’d’acqua fresca e la porse al prigioniero. Erano in una piccola radura, erano scesi verso un fosso, lasciando l’Ardeatina quando ormai si vedevano lontane le colonne del Forum Julii. Da Pozzuoli avevano seguito la via Appia, ma vicino a Roma erano troppi i carri dei patrizi che la intasavano. Lui conosceva quella sorgente vicina alla villa di un ricco patrizio, Nerva, che possedeva anche degli ampi ed ariosi granai e vi sostava volentieri prima di entrare in Roma Fece cenno al prigioniero di sedersi accanto a lui, i suoi soldati e gli altri prigionieri erano sparsi all’ombra degli eucalipti tra i giunchi e mangiavano il loro pasto frugale di formaggio caprino e olive. Giulio chiese a Paolo :
« Ma questo tuo Signore e Dio, che era un uomo ed è morto su una croce, come si chiamava…Gesù il Nazareno, parlami ancora di lui. Mi hai detto che era potente, compiva cose impossibili, calmava le acque del mare e, tu dici, è salito in cielo. Non capisco, a volte mi sembri un po’ pazzo… »
Paolo lo guardò e nei suoi occhi brillava la Luce : prese un pezzo di pane dalla sua bisaccia, lo spezzò e ne porse al Centurione Giulio.
« Capirai , Giulio, capirai … ». Sette anni dopo la testa di Paolo cadeva alle Tre Fontane.
Duemila anni dopo le ruspe che scavavano le fondamenta dei palazzi di Roma 70 un giorno scopersero un mosaico di una antica villa pressappoco dove oggi ci sono le vie Ascari, e Consolini ,con la scritta - et dux julius- ed un pezzo di pane spezzato in due parti. La stessa notte il mosaico scompariva per mano di ignoti. Un tratto della Ardeatina resiste nel cortile della Annunziatella, mentre il viottolo che scendeva dietro la nostra chiesetta, percorso duemila anni prima dal Centurione Giulio e da Paolo di Tarso è scomparso come anche la sorgente, inghiottiti dalle ruspe e dal cemento.

Ma se tu vai nelle ore quiete di un pomeriggio d’estate, nella penombra della vecchia chiesa della Nunziatella, vedrai una luce brillare sull’altare. E’ la stessa luce, la Luce dello Spirito che un giorno lontano Paolo accese nel cuore del Centurione Giulio.
Scritto a Geel, in Belgio il 19 Marzo del ‘97.


Gianfranco Scilipoti

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