giovedì 12 gennaio 2012

Tre anni dopo

Ti ho imparato a conoscere nel tempo, durante i diversi ricoveri che hai fatto in questo ospedale.
Mi rendevo conto della situazione che vivevo nel momento in cui dovevo risolvere una questione fondamentale per me, per esempio: fare gli esami del sangue, specificamente il tempo di Quick, ogni settimana e dovevo far venire l’infermiera a casa.
Nessuno mi aiutava o meglio, io non volevo aiuto da nessuno perché, mi dicevo: "Telefono e faccio venire l’infermiera". Ma non era così semplice.
Infatti, bisognava prima di tutto, trovare il numero di telefono, dopo, parlare con l’impiegata, prendere quindi l’appuntamento con l’infermiera e infine stabilire con lei, un calendario per i prelievi.
Cose semplici, adesso, ma tre anni fa, vi assicuro non erano semplici per me.
La cosa che più di tutto mi abbruttiva, mi rendeva sempre più associale era, il non sapere cosa fare, sentirmi inutile, aspettare la sera per sedermi a tavola con mio figlio e mia moglie.
Per non parlare dei fine settimana, altra questione drammatica: prima, ero sempre impegnato tra la politica e la famiglia, ora, il divano era l’unica prospettiva che mi attendeva o che io vedevo.
Un giorno di aprile, di due anni fa, eravamo a tavola, Rosanna se ne uscì con "Sabato sera vado a trovare mia madre, vieni?"
Mi si aprì il mondo! Dissi di si e poi feci mille domande tipo: "Chi ci portava? A che ora andiamo? Ma ce la faccio a camminare con il buio?"
Ricordo ancora la risposta: "Non volevi uscire?"
Ancora mi chiedo se quella risposta nascondeva il fatto di volermi mettere alla prova o semplicemente era un modo di mettere a nudo i miei limiti.
Sta di fatto che venne il sabato sera ed io ero pronto, dopo quasi due anni uscivo per piacere, avevo un appuntamento con mio cognato e sua moglie e andavamo ad una cena da mia suocera.
Ero felice e preoccupato, allo stesso tempo ma ostinato e deciso ad affrontare il buio e sicuro che ce l’ avrei fatta.
In macchina, andai con la mente al cancello di casa di mia suocera e lo fotografai con la memoria per capire se avrei trovato ostacoli troppo difficili per me.
Ero talmente emozionato che quasi non parlavo, cercavo di cogliere tutti gli odori, le sfumature così per avere una fotografia completa dell’ambiente.
Ancora adesso ringrazio mia moglie per avermi spinto ad uscire anche se, lasciare il mio ambiente “protetto”mi faceva una certa paura.
Avevo rotto il ghiaccio e mi sentivo pronto per nuove conquiste. Sì certo, di conquiste parlo, perché quasi tutto ciò che mi circondava era ostile.
Per esempio, alzarsi da letto, cosa c’è di più semplice e naturale? Ma non è così per un disabile con problemi di deambulazione come me. Anche questo gesto semplice, è stata una conquista.
E lavarmi in bagno? Purtroppo il mio bagno non ha la doccia ma, la vasca; ci sono voluti tre mesi per superare la barriera costituita dal muretto che circonda la vasca.
Sono stati tre mesi di studio e prove per trovare il modo migliore e più semplice per superare quell’altezza di 90 cm, poi finalmente abbiamo capito come fare.
C’era bisogno di una tavoletta dove potevo sedermi in modo che, con un aiuto, potevo alzare le gambe e così, finalmente, potevo essere lavato.
Per non parlare poi dell’uso del bidè, si perché, potermi fare un bidè è stato un sogno per tanto tempo.
All’inizio non riuscivo ad alzarmi, poi provai con il tripode ma risultava poco sicuro; provai con una sedia e vidi che la cosa era fattibile.
Ho fatto alcuni esempi a dimostrazione che niente è scontato per me e, che mi devo conquistare tutto.
Vivevo una situazione allucinante: avevo quasi tutto a disposizione ma non potevo usufruire di niente per il semplice motivo che non ci riuscivo.
Facevo delle lunghe passeggiate: mi rendo conto che chiamarle passeggiate è una forzatura perché, in realtà non passeggiavo, mi trascinavo, ma in ogni caso, uscivo di casa e andavo sul viale dove c’è il marciapiedi attrezzato anche per i disabili.
Poi andavo a comperare il pane e il latte che mettevo in una grande borsa a tracolla: anche quello era un modo per sentirmi utile.
Ricordo che in quel periodo, era ottobre 2009 vennero a trovarmi due “compagni" a casa: che delusione!
Sembravano delle persone mai viste, assomigliavano a dei piazzisti: tutto quel "fare" ha come obiettivo solo l’interesse personale.
Sono rimasto molto deluso.
Ora capisco perché al San Camillo ci sono delle persone disabili che ogni anno si trovano e stanno assieme durante il periodo di riabilitazione.
I disabili si sentono diversi e cercano "rifugio" in un ambiente non ostile, protetto, come si dice ora.
Questa cosa per me è sbagliata, limitativa e anche un po’ ipocrita ma, mi rendo conto che per alcuni, vuol dire crearsi uno scopo, un’illusione, un motivo per continuare a vivere.
Poi un giorno feci una telefonata ad una sindacalista che avevo conosciuto quando lavoravo all’Esu di Venezia.
Un po’ titubante gli chiesi se aveva qualcosa da farmi fare, naturalmente senza nessuna pretesa, mi mettevo a disposizione per qualsiasi cosa.
Ricordo la risposta: "Fammi chiedere al segretario, ti chiamo".
Non nascondo che per tutto il giorno rimasi in attesa sperando che chiamasse; arrivò la telefonata con la quale T. mi diceva di passare in ufficio il giorno dopo alle ore 11.
La risposta generò una serie di ansie miste a domande alle quali non sapevo dare risposte lì, su due piedi.
Con coraggio decisi di sedermi sul divano e mi raffigurai la scena della mia uscita dal cancello di casa in sella allo scooter (è un mezzo elettrico con quattro ruote) e poi via, via tutto il tragitto fino all’entrata nella sede sindacale.
Era la prima uscita che facevo dopo tanto tempo, da solo, con uno scopo preciso, non volevo che fosse un’esperienza negativa.
La mattina mi alzai presto dal letto e iniziai a prepararmi: non ricordo quasi niente di quella mattina, se non lo scooter, la strada e l’ufficio di T.
Iniziai così un nuovo percorso di vita: avevo vinto resistenze, pregiudizi, remore culturali e potevo dire che mi ero fatto da solo.
Questi tre anni non sono stati subiti ma vissuti, certamente vissuti in modo disordinato, per certi versi caotici ma vissuti.
Ho ancora mille paure che mi assalgono ogni giorno, a cui faccio fronte con l’aiuto di mia moglie, dei miei figli, dei compagni del sindacato.
Posso dire che ho iniziato una nuova vita, più complicata ma allo stesso tempo affascinante, nuova.

Francesco Liberatore

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